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Charles Lloyd
Sangam
ECM, 1976 987 5183 - 2006
Misericordia, sono le tre del mattino...o della notte...mi sveglio di soprassalto per un drin troppo forte e percepito solo nell'attimo della sua terza ripetizione. Sognavo: erano le mani più belle che io avessi mai visto e mi sfioravano il viso come fossi di porcellana, per non rompermi, erano le mani di una donna che brillava di luce propria, che canticchiava note mai sentite…erano le tre del mattino …o della notte ed avevo sognato le mani e la voce di mia madre. Basta, non c'è Morfeo che tenga, sono fin troppo sveglia e timorosa per dormire nuovamente. Accendo il computer inserisco un cd, fra quelli che dovrò recensire, mi imbatto in Charles Lloyd. È quello giusto. Ci ho visto bene e non mi spaventa il fatto che questa ninna nanna possa ri-portarmi a quel materno canterellare. Si tratta, in realtà, di un live di due anni fa al Lobero Theatre, in quel di Santa Barbara. È un omaggio al grande musicista Billy Higgins, nonché grande amico di Charles. L'ECM si arroga nuovamente il diritto di riproporre per la dodicesima volta un marchio stilato a sommo simbolo della musica…della musica jazz…ma no...è musica d'oltre, come quella creata dal sassofonista di Forest Farm a cui appartengono le note di Sangam. Penso a quanto sia comodo giocare con nostalgie lontane, che servono soltanto a farsi del male. E allora parlo di Charles Lloyd. Anni di attivismo puro si intersecano in anni di passaggi, che per motivi di salute, lo tengono costretto a rimanere per lustri inchiodato faccia a faccia con la nostalgia degli anni sessanta, quelli forti per il suo successo. Un altro è il disco di successo che ricordo di Lloyd e si chiama Dream Weaver. Battezzato dal quartetto, che includeva fra gli altri Keith Jarrett, l'album viene salutato per la prima volta nel mastodontico eremo di Fillmore. Ovviamente, non potevo proprio dimenticarmene, perché il mio tessitore di sogni ha incoronato la mia concezione di musica con nastri e corone di fuochi, incandescenti geli nascosti che credevo di non ritrovare lungo la strada delle mie reminescenze. C'è chi lo vorrebbe epigono di Coltrane, c'è chi preferirebbe, con un tocco di "io li conosco bene e tu non capisci proprio niente", associare il sassofonista, ma anche flautista, pianista e percussionista di Memphis, alle altezze di Paul Desmond…magari la smettessero di dire queste oscenità. E se poi sventuratamente mi scappa "Certo che assomigli a Renato Zero", s'infervorano come se avessi pronunciato inibitorie e inenarrabili parole nei confronti delle loro mamme… Charles è altro anche da se stesso… Lloyd sostanzia in sé arti divinatorie e improvvisazioni policentriche. Sorretto solo dal suo essere labilmente tutto e niente, mani e fiati specchiati imprigionano attimi di udito armato. Troppe imprecazioni mi sono state concesse all'ascolto del quarto brano Nataraj…erano proprio quelle melodie di un piano che ripercorrevano le labbra socchiuse e sorridenti del mio angelo. Potevo volare. Potevo gridare. Erano le cinque e sentivo le sveglie dei lavoratori romani rompere i sonni profondi di esseri nati stanchi. Io avevo lavorato una notte…o un'intera mattina e Charles Lloyd mi aveva regalato un sogno da rivivere in ogni istante. Grazie mille, Charles.
Pubblicato su Musikbox, rivista di cultura musicale e guida ragionata al collezionismo
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