Articoli pubblicati di Elisa Mauro

Casa 69 - Negramaro

Ad esser subito sinceri e schietti, da questo nuovo album dei Negramaro non aspettavamo niente di tutto quello con cui abbiamo dovuto poi fare i conti. D'altronde ne è passato di tempo... No, solo tre anni, eppure sembra sia trascorsa un'infintà per tutti noi, chiosatori scriventi di musica e per i fan accaniti della band salentina che più ha innovato negli ultimi tempi la discografia italiana per grazia divina – pensaranno i credenti - per merito obbligato – sentenzieranno i restanti.

Esce Casa 69, ultimo lavoro firmato Negramaro prodotto e distribuito dalla ormai nota mecenate Caterina Caselli e dalla sua factory, Sugar Music. Un lavoro estremo, severo, che non risparmia nè santi nè tentatori, per nulla spilorcio nei tecnicismi e nelle arie, men che meno spoglio di metodi e criteri.

Certosino nelle scale e nel ritegno, Casa 69 è il nuovo costume tagliato addosso ai sei musicisti più amati della scena musicale italiana, quelli che meno di un decennio fa vagavano per i locali di provincia, circuendo fan e musicofili all'insegna dei live, delle apparizioni, dei contatti fisicamente umidi con chi ha creduto nel progetto inedito sin dal primo album 000577”(2004).

Ad una analisi apparente sembrerebbe che il mood sia rimasto intatto e che nessun tradimento metodologico abbia intaccato lo stile creativo e musicale dei sei componenti del gruppo. Eppure ad un sentire più dettagliato pare che gli elementi che dapprima restavano nell'ombra, o quanto meno in seconda scena, come i vocalismi, gli effetti sonici, le rocambolesche gettate semantiche sui versi di Giuliano Sangiorgi, autore e compositore delle 18 tracce prensenti nell'album, ora sembrano davvero imporsi sul palco internazionale della musica.

Si noti bene però che ciò che trapela da ogni singolo brano non tratta in realtà di un protagonismo marcio, tipo autoreferenzialità da "fagiolo", più che comune nella scena artistica italiana di oggi, o almeno in ciò che di buono ne è rimasto, ciò che inganna è l'esatto contrario: i Negramaro non simulano se stessi, non sarebbero più in grado di farlo, vuoi per gli spostamenti compiuti, le esperienze nuove, per le collaborazioni esterne, vuoi per le faccende politico-sociali che hanno deciso di cantare e musicare all'interno di Casa 69.

Un album socioculturale dal marchio egopop(olare), una colonna sonora della contemporaneità, pronta a lasciare un segno profondo almeno quanto una cicatrice indelebile. Elettrosonici nel sound e tradizionalisti nei versi tenchiani, i Negramaro mostrano il senso nascosto dalla musica: la vista. Sì, perchè il difficile oggi è mostrare ciò che non si vede. Qui tutta la musica è rappresentata nei versi chiari scuri, nelle forme sinuose e aspre, tra i baratri e le alture che caratterizzano la geologia terrestre così come l'animo umano.

Il quadro c'è e sembra chiaro, sporco quanto basta, sintetico, plastico, ruvido, nessuna purezza qui è concessa, perchè a un primo ascolto il messaggio sembra forte quanto basta per capirne la sua essenza in ciò che appare, così com'è e nient'altro: un capolavoro. Distorsioni cacofoniche che spaziano dal grunge al canto gregoriano, dalla scuola genovese del cantautorato italiano alla synth pop.

Non sperate di trovarci qualcun'altro in queste note, perchè nessuno ha lasciato traccia nelle canzoni presentate in Casa 69, oppure chi ci è passato lo ha fatto in silenzio e senza dare nell'occhio. Luigi Tenco di sicuro, così come Mia Martini a cui è dedicata una delle due bonus track nascoste nell'album Comunque vadano le cose (scusa Mimì).

Basta così (feat. Elisa) è una ballata amara, intrisa di una costituzione nuova di zecca, che ha che fare col diritto di amare e con l'unico dovere a lasciarsi quando le libertà vengono minate, quando il "noi" la somma del tu più io in casi rari ma possibili, è di efficacia minore rispetto ai singoli addendi. Musicalmente magistrale, dal timbro ritmico agli acuti vocali fino alla melodia sinfonica che accompagna le urla dei due interpreti.

Voglio molto di più; straordinaria trasmissione tenchiana di vita e valore nella rimediazione tra rock e synth, un omaggio alla diversità, al costo intrinseco che ha ogni essere animale, vivente, e dei suoi pensieri. Strepitosa l'entrata di un canto corale prima della spinta elettrica della chitarra, chiara dimostrazione che niente è impossibile, se è musica.

Casa 69; un invito, se non altro, a cambiare rotta di tanto intanto a mutare gli ordini della comidità quotidiana. Ruvida Casa 69 nel ritmo, nelle sequenze, nei sospiri, nelle battute, senza dubbio un nido, a volte una galera, una giostra eccitante da cui scendere di tanto in tanto per ritornare a respirare normalmente.

Manchi; una bomba deflagrante, che cresce piano, lunga, non scoppia ancora, rimane inceppata nel ritornello dello stormo di piatti che vibrano e dei bassi che rendono maledettamente groove anche i respiri del cantautore... poi si tende, si stende, distende, riprende, fino all'attacco strumentale, al lascito altrui, ai pensieri brevi che concedono finalmente i musicisti ai suoi ascoltatori... e poi Boom!

Apollo 11, aspra e assassina come gocce di limone negli occhi, nonostante la dolcezza melodica della partitura, dove la luna dal primo passo umano ha modificato solo la visione che ne abbiamo di lei. E anche se la vediamo col naso all'insù, diversa e uguale, la luna resta sempre irraggiungibile.

Ritorna La Luna, ma stavolta veste i panni di un criminale e chiede in riscatto l'uomo e la sua essenza, dove pretende anche se sta zitta, anche se non parla, bianca com'è in quel cielo nero, e spara a quell'uomo, per invidia o per amore, così opposto a lei, dentro nero e coperto di bianco fuori.

Londra brucia ha note lunghe prosodiche con un ritornello fatto di spinte rockeggianti, elettroniche e battiti contagiosi. Nel testo riferimenti alla stanchezza di un viaggio che rimane quasi sempre incompiuto.

Dopo di me ricorda qualcosa dei primi anni novanta, sprazzi di grunge qua e là, un soffio di freschezza sicuramente e le intercapedini allacciate alla memoria non fanno che esaltare questa sensazione.

Quel matto sono io, in uno slancio narrativo che va dalla terza alla prima persona, il brano è stroboscopico, in esso vive e vige l'ego, in tutte le sue forme, dal protagonismo alla sua paura. Dall'egocentrismo all'egofobia. Un cappello piccolo, seppur grande, non basta a contenere il bene, che malamente si specchia nella contemporaneità.

Se un giorno mai. Deep house in alcuni versi,nonostante riprendano forma elementi barocchi e sarcastici di una vita come tante, vissuta di certo all'insegna del sè e delle sue facce.

Sing-hiozzo; La spettacolarizzazione musicale e artistica di un banale groviglio di aria incastrata nello stomaco che sale in gola. Dei sette sorsi d'acqua che aiutano a bloccare il signhiozzo, il primo non ha fatto altro che amplificarne lo stato e accendere una miccia spaventosa nell'udito. Onomatopeica. Tutta da standing ovation.

Io non lascio traccia, primo brano dell'album, entra in punta di piedi per 11 secondi e parte come un pugno nello stomaco quando invece ti aspetti uno schiaffo in faccia. Una presa in giro, penseranno i più saccenti, nient'altro che passione e morte, dove l'altezza massima si raggiunge quando il Maestro Carmelo Bene prende la parola sulla musica. E quando credi sia la fine, invece è appena cominciata.

Lacrime; altra bonus track nascosta tra le intercapedini musicali di Casa 69, un omaggio, speso al meglio, al tempo che scorre.

Senza te riprende le scalanature fitte della storia che ha accompagnato il gruppo in questa avventura discografica. Un ritorno al passato compiuto con grazia e eleganza.

È tanto che dormo? Un testo speciale accompagnato da uno stile musicale molto eclettico che raccoglie influenze di più generi, dall'elettronica al prog-rock. Non manca la vena sinfonica, come in quasi tutte le tracce del disco, grazie all'ausilio dell'orchestra di Mauro Pagani, il maestro che musicò i più alti film di Salvatores e tanti altri, per non parlare delle celebri e celesti collaborazioni artistiche con Fabrizio de Andrè, Mia Martini, Pfm, Eugenio Finardi e oltre ancora.

Polvere; Strano compendio per un testo lascivo che abbandona i ricordi alla materia di una cenere stanca, che sporca come quel pulviscolo che non riuscirai mai a pulire.

Il gabbiano

appare come uno scherzo dalla partenza sonora all'attacco vocale, dai tasti bianchi e neri di un pianoforte alle casse fino ai sintetizzatori, sorda ma non cieca, tanto da vedere oltre, fino a diventare visionaria. Un brano senz'altro speciale.


 

Casa 69

 

rimbomba nella casse, risuona nelle cuffie, tra le mani, la ascolti sempre, mentre cammini e batti il passo sopra il suolo, la vedi ovunque, tra le ombre dei palazzi, sulle chiese e nei borghi di paese, perfino nelle galere, se pensi, se guidi, prova ad ascoltarla anche mentre preghi -se ci credi -, da rewind, da repeat, psicosomatica, onomatopeica, che inchioda, che incastra anche se il controllo è altissimo, è musica che rende libero dal mondo il più ingabbiato tra gli umani, è un gemito gridato al vento di scirocco e riportato nuovo dal vento di maestrale, è fresca, ha un senso, un messaggio, un mezzo, ma non ha fine. Il nuovo album dei Negramaro resta incompleto e borderline. Amaro. Per i più attenti sostenitori della sintesi musicale, la Casa ha solo due cifre, il sei e il nove, che rappresentano una tesi e il suo esatto contrario, senza sintesi, proprio come quella sonata in do minore di Beethoven, l'ultima che realizzò, quando ormai sordo decise di lasciare ai posteri solo i due movimenti dell'Opera 111 privando il mondo, a lui contemporaneo e quello postumo, dell'ultimo grande compromesso con l'umanità.

Uno dei più grandi cantautori italiani,tale e così da me ritenuto, un giorno disse: "Il critico musicale è quanto di peggio possa esistere per la musica, un mancato musicista, lui che di musica avrebbe voluto vivere, proprio come me". E dunque, per concludere, a questo stesso saggio, autore e compositore dell'opera qui recensita, a Giuliano Sangiorgi, dedico una delle frasi più belle mai più sentite: «Perdonatemi se con nessuno di voi / non ho niente in comune: / io sono un istrione a cui la scena dà / la giusta dimensione.» Charles Aznavour, ne L'Istrione.

 

 

 

Elisa Mauro

 

 

 

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